I servizi per l’impiego in Italia e in Europa

1. La spesa per le politiche del lavoro in ltalia ed Europa
La spesa per politiche del lavoro in Italia è inferiore di un terzo rispetto al resto d’Europa. E’ stata, nell’ultimo decennio, intorno all’1,5 per cento del PIL.
Sostanziale è la differenza nella qualità della spesa. Nei paesi europei con un mercato del lavoro efficiente, la spesa media si distribuisce per il 44 per cento sulle politiche passive (sostegno economico ai disoccupati), per il 40 per cento sulle politiche attive ( interventi ed incentivi per trovare lavoro) e per il 16 per cento circa sui servizi per la ricerca di impiego. In Italia la spesa per politiche del lavoro va per più del 55 per cento in indennità salariali, per il 40 per cento in politiche attive e per meno del 5 per cento in servizi per il lavoro.
Oltre il 40 per cento di chi in Italia cerca lavoro si rivolge anche ai servizi per il lavoro: strutture specializzate pubbliche e private che si occupano di orientamento ed incontro tra domanda ed offerta. Meno del 10 per cento degli italiani trova però lavoro in questo modo. In più dell’80 per cento dei casi si tratta di lavoro a termine.
In Europa funziona in modo diverso. Sono di più i lavoratori e le imprese che si rivolgono ai servizi specializzati, e quasi la metà delle opportunità di impiego si trovano tramite i servizi. Non è solo questione di diverse abitudini: la prevalenza delle relazioni personali e della raccomandazione in Italia è condizionata anche dalla presenza e dalla qualità dei nostri servizi. In Europa abbiamo un orientatore ogni quaranta disoccupati, in Italia uno ogni quattrocento. I servizi all’estero piazzano sul mercato del lavoro un numero di disoccupati tre volte maggiore rispetto ai servizi italiani, avendo però a disposizione personale e risorse tre volte superiori.
Le politiche attive in Italia si risolvono soprattutto in corsi di formazione e non in percorsi mirati per l’inserimento al lavoro. Questo accade soprattutto per due motivi: il principio che lega l’erogazione di una indennità od ammortizzatore alla partecipazione a una misura di politica attiva non viene rispettato ed il sistema dei servizi per il lavoro non è organizzato per l’accompagnamento al lavoro, che in Europa invece è un vero e proprio diritto di cittadinanza. Per rendere più efficiente il governo del nostro mercato del lavoro è quindi necessario rafforzare e rendere centrale il sistema dei servizi, con responsabilità chiare e risorse certe.

2. I servizi per l’impiego in Europa. Investimenti e risultati
Esiste una convergenza tra crescita occupazionale, quantità e qualità degli investimenti per le politiche del lavoro. I paesi che, prima della crisi del 2008, hanno investito di più sulle politiche del lavoro ( rispetto al PIL ) sono quelli che hanno avuto una minore caduta dell’occupazione. Danimarca, Germania, Francia e Finlandia hanno speso, nel 2007, due o tre volte di più di Grecia, Italia e Romania e si sono trovati, nel 2011, ai primi posti per le performance occupazionali. Il dato quantitativo dipende anche dalla scelta qualitativa. La composizione delle politiche del lavoro si distingue in interventi passivi ( le risorse date ai disoccupati), attivi ( gli interventi per il reimpiego) e servizi per il lavoro ( l’assistenza al reimpiego). Allo stesso modo gli incentivi per il lavoro vanno distinti considerando quanto va alle imprese, quanto va al lavoratore e quanto va al soggetto che regola ed intermedia il reimpiego.
Maggiore è la quota per politiche attive e servizi, migliore è il risultato. Questo vale anche agli incentivi: secondo dati Eurostat, gli esiti più favorevoli si hanno quando maggiore è la quota che va al servizio ( service provider) rispetto all’impresa e al lavoratore.
Il principio di finanziare l’occupazione e non la disoccupazione, seguito in modo rigoroso, determina risparmi. L’unico paese con maggiore occupazione che spende meno dell’Italia in politiche del lavoro è il Regno Unito, grazie a una spesa in cui i servizi per il lavoro sono finanziati ben dieci volte più che in Italia.
Il Regno Unito, prima della crisi, spendeva il 60 per cento in servizi per il lavoro, contro il 3 per cento dell’Italia; aveva un mix tra politiche attive e servizi per il lavoro pari al 70 per cento sul totale della spesa, contro il 45 per cento dell’Italia e incentivi per il 53 per cento destinati ai servizi, contro il 7 per cento dell’Italia. Da dieci anni il tasso di occupazione inglese supera di almeno cinque punti quello italiano.

Tabella 1

SPESA PER SERVIZI PER L’IMPIEGO RISPETTO A POLITICHE DEL LAVORO
ITALIA 4%
FRANCIA 10%
GERMANIA 12%
REGNO UNITO 60%

Fonte: Eurostat 2009, elaborazione Italia Lavoro 2011

Tabella 2

SPESA PER POLITICHE DEL LAVORO RISPETTO AL PIL
ITALIA 1,6%
FRANCIA 3,4%
GERMANIA 2,3%
OLANDA 3,7%

Fonte: Eurostat 2010, elaborazione Italia Lavoro 2011

Tabella 3

SPESA PER POLITICHE ATTIVE RISPETTO AL DESTINATARIO
PAESE Spesa per persone Spesa per imprese Spesa per servizi
ITALIA 21% 72% 7%
FRANCIA 21% 64% 14%
GERMANIA 39% 13% 47%
GERMANIA 39% 13% 47%
REGNO UNITO 28% 13% 59%

Fonte: Eurostat 2009, elaborazione Italia Lavoro 2011

Tabella 4

RAPPORTO TRA DISOCCUPATI ED OPERATORI SPI PUBBLICI
ITALIA un operatore ogni 150
FRANCIA un operatore ogni 48
GERMANIA un operatore ogni 45
REGNO UNITO un operatore ogni 24

Fonte: Eurostat 2010, elaborazione Italia Lavoro 2011 Dal confronto europeo emerge quanto segue:

  1. funzionano meglio le politiche del lavoro nei paesi con maggiori investimenti per politiche attive e servizi per il lavoro;
  2. il funzionamento dipende dal posizionamento delle risorse su un territorio con presenza di efficaci e diffusi servizi in grado di promuovere le politiche attive;
  3. combinazione e regolazione del rapporto tra servizi per il lavoro e politiche attive misurano l’efficacia dell’intervento (anche in termini di minori costi);
  4. elemento chiave sono i servizi per il lavoro: un’alta quota di risorse per le politiche attive e una bassa per i servizi per il lavoro determinano distorsioni ed inefficacia della spesa;
  5. gli incentivi per il lavoro sono più efficaci in paesi come la Germania, il Regno Unito e l’Olanda in cui una quota importante è destinata come premialità per i servizi erogatori;
  6. la presenza capillare di servizi specializzati in politiche attive sul territorio è una caratteristica di paesi europei con mercati del lavoro più efficaci;
  7. la responsabilità pubblica territoriale ed il rendiconto costituiscono il quadro di governance degli interventi, sulla base di standard nazionali ed interventi di verifica costante.

L’Italia è stata chiamata a più riprese a riformare il proprio modello. Pur essendo la terza potenza economica d’Europa, risulta al 22° posto per efficacia e funzionamento del mercato del lavoro e al 23°posto per qualità del sistema di educazione e formazione. Se la crisi ha portato l’Italia a perdere, tra il 2008 ed il 2011, ben cinque posizioni nella classifica europea di competitività ( dal 15° al 20° posto), ciò dipende sostanzialmente, secondo gli osservatori Ue, da tre fattori: capacità istituzionale, qualità di istruzione e formazione, efficienza del mercato del lavoro. Un maggiore investimento nei servizi per il lavoro è un aspetto fondamentale delle politiche del lavoro che in questi anni è mancato ed è opportuno fare.

3. I servizi per l’impiego in Italia secondo Isfol ed Upi
Uno dei fattori di crisi del mercato del lavoro italiano deriva dal funzionamento inadeguato dei servizi per il lavoro e dalla mancanza di collegamento tra l’iscrizione al Centro per l’impiego e l’accesso a servizi di orientamento, politica attiva o all’intermediazione. L’inefficienza riguarda sia il settore pubblico, regionalizzato dopo la riforma del 1997, che le agenzie private, autorizzate all’intermediazione ai sensi della legge Biagi. I servizi per il lavoro pubblici e privati intermediano in Italia circa il 10 per cento della manodopera, anche se più del 50 per cento dei disoccupati italiani si rivolgono a servizi specializzati per cambiare o trovare lavoro. I dati dell’Isfol e le ricerche dell’Upi (Unione province italiane) evidenziano un sistema con prestazioni e risultati alterni, difficilmente comparabili fra regione a regione. Due regioni limitrofe come Lazio e Toscana hanno un’efficacia dei servizi ( e quindi delle politiche attive) del tutto diversa: i Centri per l’impiego toscani svolgono il colloquio all’80 per cento dei disoccupati, contro il 50 per cento di quelli del Lazio, che a loro volta intermediano meno del 4 per cento della forza lavoro contro il 10 per cento della Toscana.
I dati Isfol, della fine 2011, evidenziano come sia cresciuta l’intermediazione delle Agenzie private per il lavoro, mentre i Centri per l’impiego del Sud sono in forti difficoltà. Non è un caso che nelle regioni meridionali il ricorso ai canali relazionali ed informali per la ricerca di lavoro sia del tutto predominante.
Secondo l’ Isfol il ricorso alla via informale per trovare un’occupazione è molto ampio: 3 persone su 10 (4 su 10 se giovani 18-29enni) hanno trovato lavoro grazie a relazioni personali e legami parentali. Solo 1 laureato su 10 utilizza però questo canale. I Centri per l’impiego intermediano poco più di 3 persone su 100, in prevalenza donne e fasce deboli, soprattutto quando svolgono azioni di orientamento . Le Agenzie di lavoro private, le Società ricerca e selezione personale, le Scuole, le Università e Istituti di formazione, le Organizzazioni sindacali e datoriali garantiscono il 7% dell’intermediazione complessiva (quasi il 14% di quella giovanile), con un ruolo crescente dal 2000 in poi. Le offerte sulla stampa hanno consentito poco più del 3% delle intermediazioni positive. L’Isfol include nell’intermediazione anche i rapporti di lavoro somministrati, che valgono circa 2% degli avviamenti. (Vedi Tab. 5)
L’Isfol segnala che la prevalenza ambientale , relazionale e famigliare dell’accesso al lavoro determina una relazione crescente tra occupazione qualificata e genitori con livelli d’istruzione elevata o posizioni lavorative apicali.
Da qui derivano “nuove segmentazioni del mercato, facendo ravvisare una presenza minore di persone con capitale umano inutilizzato laddove il contesto produttivo, familiare e storico dell’individuo è migliore, più saldo e qualitativamente strutturato. Esiste pertanto un evidente problema di “deficit di accadimento” per alcuni soggetti rispetto ad altri che hanno ereditato un buon orientamento nel percorso scuola-lavoro-carriera”.

Tabella 5

CANALI DI RICERCA E INTERMEDIATI, INCIDENZA %
TOTALE GIOVANI DONNE SUD LAUREATI
Centri per impiego 3,4 2,7 3,7 4,3 1,3
Agenzie di lavoro interinale 2,4 5,7 2,4 1,2 2,1
Soc. Ricerca e selezione personale 0,9 1,7 0,9 0,8 1,4
Scuole, università e ist. Di formaz. 2,8 6,0 3,3 2,1 6,7
Sindacati e organizzazioni datoriali 0,5 0,1 0,5 0,7 0,1
Lettura di offerte sulla stampa 3,4 4,1 3,5 1,9 3,7
Attraverso ambiente lavorativo 7,5 6,1 5,9 6,0 7,1
Amici, parenti, conoscenti 30,7 38,1 31,1 31,4 12,7
Auto candidature 17,7 23,8 18,5 15,6 17,0
Concorsi pubblici 18,3 5,9 24,1 23,3 36,0
Avvio di un’attività autonoma 12,4 5,7 6,2 12,8 12,0

Resta alta la domanda di servizi pubblici non erogati, per problemi di contingentamento (rapporto utenza/addetti) e per la debole domanda di lavoro. Emerge dalle rilevazioni Isfol che i servizi resi dal sistema pubblico sono giudicati soddisfacenti dall’utenza. I Cpi, per la loro valenza universalistica, assumono anche un nuovo ruolo di integrazione sociale per le persone giovani o più anziane o più svantaggiate.
Va inoltre segnalato che nel processo di ricerca del lavoro si creano rapporti tra i Cpi (con funzione propedeutica) e altri provider (con funzione collocativa).

4. Riforma del mercato del lavoro e servizi per l’impiego. La posizione di Regioni e Province
Il disegno di legge di riforma del mercato del lavoro contiene interventi che puntano a migliorare il funzionamento dei servizi per il lavoro, considerati una delle ragioni della mancata crescita occupazionale e delle difficoltà di incontro fra domanda e offerta.

Vengono fissati alcuni obiettivi di fondo, in linea con gli obiettivi europei:

  1. un sistema di servizi per il lavoro sul territorio dotato di risorse professionali e di standard più avanzati;
  2. programmi ed interventi di politica attiva collegati ai servizi per l’impiego, in cui incentivi e offerta formativa siano collegati ai fabbisogni reali delle imprese;
  3. miglioramento del rapporto tra servizi pubblici e privati per il lavoro, per migliorare la destinazione delle politiche attive e degli incentivi e per rafforzare la capacità di consulenza e preselezione per le imprese.

Regioni e Province, titolari di competenze importanti sul mercato del lavoro ed erogatrici dei servizi per l’impiego, hanno chiesto che sia confermata la competenza sui Centri per l’impiego e che sia prevista una pianificazione territoriale delle politiche attive e degli incentivi, in base agli indirizzi della programmazione regionale. Per Regioni e Province vanno fissati livelli essenziali di prestazione dei servizi per l’impiego e delle politiche attive, con criteri premiali per i territori più virtuosi, valorizzando le buone pratiche in corso.
La riforma dovrà essere sostenuta da un adeguato stanziamento finanziario, essendo l’Italia l’unico paese d’Europa che , in piena crisi occupazionale, ha diminuito le risorse per servizi e incentivi per il lavoro.
Regioni e Province ritengono contraddittorio affidare all’ INPS funzioni di intermediazione e di politica attiva che sono da ricondurre alle istituzioni elettive presenti nel territorio. Vanno poi definite, a livello regionale, le misure di sostegno al passaggio dalla scuola al lavoro e all’apprendistato e i diversi pacchetti di incentivi per le imprese e lo sviluppo, che necessitano anche di una pianificazione subregionale.