LE REGIONI SI INTERROGANO SULLE PROSPETTIVE DELLA FORMAZIONE

In occasione dell’Evento “Dare forma al futuro” del 30 novembre, For.Te. ha chiesto ai massimi dirigenti degli Assessorati competenti di alcune Regioni una riflessione, sotto forma di intervista, sul futuro della formazione continua e sulle iniziative che le Istituzioni territoriali stanno assumendo per promuoverne l’efficienza e l’efficacia, alla luce delle politiche nazionali e delle indicazioni europee. Ecco le loro risposte.

SERGIO TREVISANATO
SEGRETARIO REGIONALE ATTIVITÀ PRODUTTIVE, ISTRUZIONE, FORMAZIONE, REGIONE VENETO PRESIDENTE ISFOL

  1. Come vede il futuro della formazione, e di quella continua in particolare, nel nostro Paese?

Si parla da anni della formazione come strumento strategico per la crescita personale e per la competitività del sistema economico e produttivo. Ciò presuppone uno stretto collegamento, una seria interazione tra percorsi formativi e contesti lavorativi al fine di garantire l’occupabilità dei giovani e l’adattabilità dei lavoratori.
La crisi che il Paese attraversa e le forti ripercussioni che questa ha determinato sull’occupazione, con effetti diversi nell’ambito delle varie realtà territoriali, hanno accentuato la discrasia tra offerta formativa ed esigenze del mercato del lavoro, rilevando la necessità di una maggiore qualificazione dei lavoratori e la carenza di profili professionali in grado di rispondere alle future esigenze del mercato del lavoro.
Ciò detto, non è ulteriormente rinviabile una precisa assunzione di responsabilità di istituzioni e forze sociali nel definire una offerta formativa mirata, evitando duplicazioni di proposte ed utilizzando in modo sinergico le risorse finanziarie disponibili, di fonte sia privata che pubblica.
Rispetto ad un quadro finanziario che vede un’oggettiva contrazione delle risorse pubbliche, è urgente un processo di razionalizzazione dell’offerta anche nel settore della Istruzione e Formazione Professionale. Qui sarà necessario mettere a regime i modelli di aggregazione e razionalizzazione degli ambiti d’intervento, sperimentati in questi anni, incentivando lo sviluppo delle reti ed un’offerta formativa integrata e privilegiando i settori strategici nell’ambito della Strategia Europa 2020.
È importante per il futuro ribadire il concetto del diritto all’apprendimento continuo, senza soluzione di continuità tra percorsi educativi e carriera professionale, integrando esperienze formative con quelle lavorative preferendo la prospettiva dell’integrazione rispetto a quella della transizione dalla scuola al lavoro.
Importante, in questo senso, è l’esperienza appena avviata, degli Istituti Tecnici Superiori che si caratterizzano per la forte integrazione tra realtà educativa e mondo produttivo, in cui l’impresa è coinvolta direttamente nella progettazione dei percorsi formativi che prepareranno i futuri lavoratori.

  1. Quali sono secondo Lei gli ostacoli più gravi che ne impediscono il salto di qualità e quali interventi si rendono necessari per superarli?

È assodato che in Italia si investe poco in formazione continua: i dati ci dicono che solo un’impresa su tre in Italia offre opportunità di formazione ai propri addetti. Questo è determinato dalle caratteristiche del sistema imprenditoriale, costituito per lo più da imprese di piccole dimensioni e a bassa intensità di innovazione tecnologica. L’identificazione dei fabbisogni di formazione all’interno dell’impresa non è operazione semplice, soprattutto se si considerano le ridotte dimensioni delle imprese italiane, il differente grado di propensione all’innovazione, l’incertezza sulle prospettive di sviluppo. La scarsa presenza di solide reti territoriali tra piccole imprese costituisce una debolezza del tessuto imprenditoriale italiano, che si ripercuote anche sulla capacità di individuare i fabbisogni ed organizzare risposte formative adeguate.
Per ovviare a questo limite, da qualche anno Regioni come il Veneto hanno sperimentato modalità di offerta formativa alternativa rispetto alla tradizionale attività corsuale, introducendo lo strumento del voucher, incentrato sulla domanda di formazione, finalizzando gli interventi alla specifica esigenza dell’impresa e del lavoratore.
Proprio per ovviare alla difficoltà dell’impresa di individuare i suoi specifici fabbisogni professionali e formativi, sono stati introdotti i voucher di accompagnamento che finanziano attività di consulenza-assistenza per evidenziare, attraverso analisi organizzative, i fabbisogni formativi aziendali.
Esiste purtroppo una “cultura della formazione” poco diffusa, cui si accompagna un sistema pubblico di finanziamento degli interventi rigido ed oneroso in termini di adempimenti amministrativi e procedure di gestione.
Ciò determina spesso un atteggiamento rinunciatario in capo all’impresa, che percepisce la formazione come un onere piuttosto che un elemento strategico di crescita. Per il futuro quindi è auspicabile una politica di sensibilizzazione, che faccia fare alle imprese un salto culturale rispetto all’importanza di investire nella formazione. Questa sarà tanto più incisiva quanto più l’offerta sarà mirata e di qualità, tale che imprese e lavoratori siano in grado di percepirne nell’immediato i benefici ed i vantaggi.
Come ricordato anche nel Rapporto sulla formazione in Italia 2010, il quadro dell’offerta è spesso frastagliato, vuoi per le diverse fonti di finanziamento (statale, regionale, FSE), vuoi per la governance. A livello nazionale ci sono più Ministeri che gestiscono le fonti di finanziamento, anche a livello regionale l’offerta formativa è gestita talora da Assessorati diversi a secondo del settore in cui si interviene).
È necessario perseguire con forza l’obiettivo di programmare in maniera coerente le iniziative di formazione continua, perseguendo il raccordo tra iniziative cofinanziate dai Fondi Interprofessionali e le diverse ulteriori iniziative finanziate da altri strumenti. Per questo è necessario un ampio coinvolgimento dei diversi soggetti nei processi di programmazione dell’offerta formativa: dalle Istituzioni alle Parti Sociali agli Organismi erogatori di formazione.
Un ulteriore elemento incentivante potrebbe essere costituito dall’introduzione di strumenti di agevolazione fiscale per le spese dedicate all’aggiornamento professionale.
Sicuramente è da incentivare quale modalità formativa l’apprendimento on the job, valorizzando le forme di apprendimento intergenerazionale cui si deve accompagnare un sistema di certificazione delle competenze.

CONCETTA DI GESÙ
DIRIGENTE DIPARTIMENTO FOMAZIONE LAVORO, SETTORE ADATTABILITÀ REGIONE CALABRIA

  1. Come vede il futuro della formazione, e di quella continua in particolare, nel nostro Paese?

L’obiettivo strategico per il futuro della Calabria consiste nel sostenere lo sviluppo e la crescita del sistema economico regionale. Il fine è di garantire la convergenza con i livelli medi di sviluppo dell’Unione Europea, eliminando così il gap infrastrutturale, produttivo, sociale ed occupazionale che relega la Calabria nelle posizioni marginali dell’area della Convergenza, mobilitando le potenzialità endogene, tramite il miglioramento della competitività e dell’attrattività del sistema territoriale, nonché la diversificazione e l’innovazione delle strutture produttive.
Le linee strategiche della programmazione 2007-2013 assumono come orizzonte di riferimento un deciso avvicinamento, entro il 2013, al tasso medio di occupazione a livello nazionale, e ai target di Lisbona fissati per il 2010 per l’occupazione generale e quella femminile in particolare. Tale strategia è stata aggiornata spostando l’orizzonte temporale al 2020, con nuovi target occupazionali da raggiungere.
Su tali basi si innesta il Progetto Pilota Focus Lavoro-Giovani, di valenza innovativa nella gestione della dinamica domanda/offerta di lavoro, che si presenta come pacchetto di misure per i giovani per favorire un miglioramento delle capacità personali, o con percorsi formativi professionalizzanti, o con una fase di apprendimento direttamente in azienda, funzionali ad accrescere la competitività delle reti e/o cluster d’imprese territoriali.
Il Progetto destina risorse in capo all’individuo, utilizzabili presso operatori accreditati per la fruizione di servizi al lavoro e alla formazione, e finalizzati all’inserimento occupazionale e al miglioramento di competenze e occupabilità.
La dote prevede anche indennità di partecipazione ai percorsi di politica attiva e di formazione.
Il modello attua i seguenti principi:

  • centralità della persona e valorizzazione del capitale umano, attraverso l’implementazione di interventi di istruzione, formazione e politica attiva del lavoro per il raggiungimento di obiettivi specifici e personalizzati, in base alle esigenze dei singoli destinatari;
  • rete degli operatori del mercato del lavoro e della formazione, basata sul principio dell’accreditamento e della sussidiarietà tra i diversi enti ed organismi di governo coinvolti;
  • percorsi personalizzati per la formazione e l’inserimento lavorativo, che i destinatari della dote definiscono insieme agli operatori accreditati, con un piano di intervento personalizzato di avviamento e inserimento al lavoro (PIAL).

In sintesi, le parole d’ordine per il futuro potrebbero essere: personalizzazione dei percorsi formativi e alternanza scuola-lavoro.
I risultati attesi saranno orientati ad integrare sistema delle imprese e rete istituzionale della scuola-università-formazione.

  1. Quali sono secondo lei gli ostacoli più gravi che ne impediscono il salto di qualità e quali interventi si rendono necessari per superarli?

Il contesto è caratterizzato dalla crisi economica e finanziaria che ha investito la Calabria, al pari del resto del Paese. I dati ISTAT del secondo semestre del 2010 mostrano per la Calabria una percentuale di lavoratori irregolari pari ad oltre il 24%. L’incidenza dei lavoratori irregolari è elevata in quasi tutti i settori, con punte nei settori dell’agricoltura e del turismo, rispettivamente al 53% e al 30-35%, delle costruzioni e del commercio con valori intorno al 30%.
Superare il tasso di irregolarità costituisce uno degli obiettivi strategici per normalizzare delle relazioni produttive e ripristinare le regole della concorrenza.
Lo sviluppo di un sistema efficace e radicato sul territorio di servizi per il lavoro e per la formazione, anche con la presenza della bilateralità ed il rapporto con le forze sociali, potrà permettere alla Calabria una più forte cultura della legalità sul lavoro, un maggiore coordinamento delle risorse disponibili ed una piena valorizzazione delle opportunità dei Fondi interprofessionali, che le imprese calabresi usano meno di quanto sia opportuno.
La Regione intende promuovere la più ampia sinergia per un lavoro in rete sul territorio con i soggetti della bilateralità e con il sistema dei Fondi interprofessionali , per sostenere la crescita delle competenze.

LUIGI ROSSETTI
DIRETTORE PROGRAMMAZIONE ED INNOVAZIONE – REGIONE UMBRIA

  1. Come vede il futuro della formazione, e di quella continua in particolare, nel nostro Paese?

La formazione è una politica da cui non si può prescindere per puntare ad una crescita del capitale umano ed innalzare la competitività del sistema produttivo. Ciò vale tanto per chi è alla ricerca di una occupazione quanto per chi un lavoro già ce l’ha. I primi, qualificandosi, vedono aumentare le proprie possibilità d’impiego, i secondi accrescono il know how della propria impresa e con esso aumentano, in un momento difficile come questo, le possibilità di sopravvivere alla crisi e di acquisire mercato.
È chiaro che il momento è tutt’altro che felice. Con la crisi molte delle risorse destinate alla formazione sono state dirottate al rispetto dell’accordo del 12.02.2009. In particolare quelle dell’Asse Adattabilità, destinate alla formazione continua , sono quelle maggiormente penalizzate. E’ importante contribuire all’ammortizzatore dei cassintegrati così come contribuire a una maggior qualificazione che favorisca il loro reintegro in azienda o il loro ricollocamento.
Rischia però di essere sacrificata la formazione rivolta alle imprese più innovative, che fungono da volano per l’economia. Mi riferisco ad esempio a quelle dei comparti come la meccatronica o la green economy, a cui l’Umbria da anni dedica la sua attenzione; il Piano triennale del lavoro punta a queste, come ad altre aziende, per aumentare la competitività dell’Umbria, destinando risorse importanti che dovrebbero in qualche modo essere rimpinguate.
Stiamo valutando la possibilità di una riprogrammazione a favore degli assi occupabilità e adattabilità; di certo nell’ambito della formazione continua un aiuto potrebbe venire dalla messa in sinergia delle risorse comunitarie con quelle dei Fondi interprofessionali. L’Umbria ha stipulato un accordo in tal senso, nell’ambito dell’Osservatorio sulla formazione continua affidato all’AUR.

  1. Quali sono secondo lei gli ostacoli più gravi che ne impediscono il salto di qualità e quali interventi si rendono necessari per superarli?

Vedo come ulteriore ostacolo la mancanza di un sistema nazionale di rilevazione dei fabbisogni formativi, capace di cogliere in tempo reale i fabbisogni delle imprese o meglio ancora di prevederli. Basare l’offerta formativa sulle indagini ora presenti è un pò riduttivo, così come può esserlo affidarle di volta in volta con singoli interventi.
Nel Piano triennale abbiamo previsto di iniziare a ragionare in tal senso, partendo proprio da quanto già fatto nell’ambito dell’Osservatorio sulla formazione continua e senza sovrapposizioni con indagini nazionali. Ritengo infatti che, con il contributo del partenariato sociale, si possa costruire un modello con cui le imprese vanno ad esprimere le loro necessità. Abbiamo investito nel sistema delle competenze al fine di collegare il mondo del lavoro, e quindi delle necessità delle imprese, con quello della formazione; stiamo ragionando su quale sia per le imprese lo spazio ideale dove esprimere le proprie esigenze e il portale sui servizi al lavoro che stiamo disegnando riteniamo sia qualcosa di adeguato.
Certo, se esistesse uno standard nazionale di rilevazione delle competenze sarebbe forse più semplice, ma a quanto mi risulta dall’intesa sulle Linee guida sulla formazione ad oggi non è stato fatto molto a livello centrale, e son passati ormai due anni.

MARIA PIA REDAELLI
DIRETTORE GENERALE D.G. ISTRUZIONE, FORMAZIONE E LAVORO REGIONE LOMBARDIA

  1. Come vede il futuro della formazione, e di quella continua in particolare, nel nostro Paese?

Credo che tra i molti temi che interessano i sistemi formativi due siano di particolare interesse per la formazione che verrà:

  • il tema della formazione su misura;
  • il tema dell’integrazione.

Il primo tema richiama l’esigenza di rivalutare la domanda rispetto all’offerta per sancire il diritto della persona, e dell’impresa, di determinare il percorso da intraprendere sulla base delle sue esigenze formative.
Non più solo corsi dunque, ma servizi formativi, ossia soluzioni su misura, formative e non, che sostengono i progetti di crescita delle persone e le linee di sviluppo dell’impresa e dei suoi lavoratori.
Qualunque sia l’esigenza cui rispondere – dall’inserimento lavorativo al mantenimento dell’occupazione, dal fare innovazione al difendersi dalla crisi, dal migliorare le proprie competenze al creare impresa – la persona e l’impresa hanno il diritto di trovare lungo tutto l’arco della vita la formazione che gli serve; diritto che Regione Lombardia riconosce ed afferma (l.r. 22/2006, l.r. 19/2007).
Lo strumento che nella programmazione regionale dà corpo alla centralità della domanda di formazione è la Dote.
Già adottata in diversi ambiti (Dote Formazione, Dote Lavoro, Dote Scuola, si vuole ora introdurre nella formazione continua, in particolare nella nuova programmazione ex lege 236/93, a beneficio delle imprese.
La Dote FC Impresa sostiene progetti aziendali per la crescita dell’impresa e del suo capitale umano. Ogni impresa ha il suo progetto, singolo o in rete, che può presentare direttamente o tramite Operatore accreditato. L’avviso è aperto, a sportello.
Ciò che si vuole incentivare è:

  • la domanda delle imprese, agevolandone l’accesso diretto alla formazione;
  • i progetti mirati, basati su tale domanda espressa da soggetti identificati fin dalla progettazione, che esplicitano il nesso tra gli obiettivi di sviluppo aziendale da perseguire, i bisogni che ne conseguono e la formazione da fare;
  • Le partnership di sviluppo che aggregano tutti i soggetti capaci di attivare le soluzioni utili alla crescita dell’impresa.

Coinvolgendo peraltro anche gli imprenditori, gli amministratori, i titolari e soci d’impresa per far sì che, nel setting formativo, possano contribuire insieme ai lavoratori al progetto di sviluppo dell’impresa.
Il tema dell’integrazione, collegato al precedente, punta sulla necessità di agire da sistema, ossia di collegare le politiche, i programmi e le risorse formative alle altre politiche dello sviluppo regionale.
Attivando sinergie tra interventi della FC, interventi delle politiche del lavoro e del welfare, altre filiere dell’education, altre iniziative regionali, nazionali e comunitarie e altri soggetti della programmazione formativa, come i Fondi interprofessionali.
A proposito dell’integrazione Regione-Fondi, in Lombardia stiamo realizzando una inedita sperimentazione basata su un nuovo modello di formazione continua in cui Regione e Fondi investono su comuni obiettivi dello sviluppo regionale.
Lanciata dalla Regione, che ha invitato i Fondi a manifestare il proprio interesse alla realizzazione di attività di FC integrate Regione-Fondo (d.d.g. 3991/2011), la sperimentazione ha questi tratti:
1) Complementarietà
Dopo la complementarietà basata sulle differenze, Regione e Fondo cofinanziano lo stesso programma di FC di cui condividono finalità, obiettivi e caratteristiche. Sulle stesse finalità convergono più risorse. Invece di percorrere due strade parallele, Regione e Fondo concentrano le proprie risorse su uno scopo comune. Trovando l’una nell’altro una fonte complementare, coordinata e sinergica per la sostenibilità della propria azione.
La sperimentazione viene attuata tramite un avviso pubblico finanziato al 50% dalla Regione (risorse 236) e al 50% dal Fondo. L’avviso, approvato preliminarmente dalla Regione, viene interamente gestito dal Fondo;
2) Più linee di intervento
La Regione combina, insieme a quelle dei Fondi, le proprie risorse, superando le barriere delle singole linee di intervento. Tutti i lavoratori dell’impresa possono essere coinvolti nello stesso progetto, al di là dell’inquadramento o della tipologia contrattuale.
La sperimentazione è aperta agli imprenditori e ai loro collaboratori familiari, fin qui esclusi sia dalle risorse 236 che dai Fondi;
3) Servizio formativo
Ogni progetto è caratterizzato dall’integrazione del finanziamento (Regione e Fondo) e dall’integrazione delle azioni (formazione e servizi). E’ un vero servizio formativo: un coordinato di soluzioni su misura, formative e non, che sostengono le linee di sviluppo dell’impresa e dei suoi lavoratori.
Regione e Fondo promuovono una FC che concentra una più ampia gamma di interventi in un unico progetto che persegue obiettivi di crescita dell’impresa e dei suoi lavoratori;
4) Semplificazione delle regole
Il programma di FC è modellato dalla governance integrata Regione-Fondo, con condivisione di procedure, regole e strumenti. Il titolare di progetto si rapporta ad un unico ente finanziatore e fa riferimento ad un unico regolamento.
Il Regolamento di attuazione, che sarà approvato a breve, è stato condiviso con il Ministero del Lavoro nell’ambito della collaborazione istituzionale che Regione Lombardia ha inteso attivare.
Tra gli esiti di tale collaborazione, ad oggi vanno sottolineati l’estensione della platea di destinatari ammissibili alle risorse 236 e l’utilizzo dell’impianto gestionale-amministrativo e di monitoraggio già utilizzati dai Fondi.
La sperimentazione è ora nella sua fase di progettazione esecutiva, che darà in esito l’avviso pubblico di ciascun Fondo.
Sono temi in cui le Parti sociali giocano un ruolo di rilievo, non tanto per identificare i corsi da organizzare ma per focalizzare le necessità di settori, territori, imprese e lavoratori, da cui deriva la vera domanda di formazione.

  1. Quali sono secondo lei gli ostacoli più gravi che ne impediscono il salto di qualità e quali interventi si rendono necessari per superarli?

La formazione professionale deve recuperare credito rispetto ai sistemi scolastici e ai sistemi lavorativi, affrancarsi dalla posizione subalterna rispetto a questi sistemi.
Bisogna trovare una nuova idea di formazione professionale come relazione, quella di cui si parlava prima.
La formazione soffre di un problema di qualità dell’offerta: schiacciata sul modello dell’offerta, ragiona soprattutto per corsi più che per progetti collegati alle linee di sviluppo della persona e dell’impresa. Spesso l’offerta formativa si basa su una domanda di formazione generica, obiettivi di massima, risultati attesi non ben esplicitati. E’ un’offerta generalista, con attività “contenitore” poco definite, che individua i suoi destinatari e le imprese solo in corso d’opera.
La burocrazia poi le impedisce di diventare appetibile. La semplificazione dei processi e la riduzione della burocrazia è un’esigenza riconosciuta da più parti da molto tempo.
Ancora, la formazione è troppo autoreferenziata. Se la formazione deve farsi strumento della politica attiva di un lavoro investito da profonde trasformazioni, deve aprirsi alla cooperazione con gli organismi del mercato, del pubblico e del sociale per favorire l’integrazione dei sistemi formativi con quelli lavorativi. La sua funzione sarà quella di avviare e raccordare le reti di relazioni formative che altrimenti faticano a connettersi con i network formali e informali straordinariamente diffusi nella nostra organizzazione sociale.
Ripartire dalla domanda, verso un migliore posizionamento di persone e imprese, e di integrare formazione e servizi, lasciare libertà di scelta a chi fa formazione; attivare un’offerta su misura, semplice da usare, interfacciata con le altre iniziative per lo sviluppo, attentamente monitorata e valutata secondo la prospettiva del lavoratore e dell’impresa: sono i caratteri di una formazione che massimizza le sue risorse, è più sostenibile e si rigenera a partire dai suoi risultati.
Ma v’è di più. Da questa crisi non si esce per tornare dove si era prima. La crisi ha cambiato la geografia della crescita, il centro non è più il nord del mondo, e lo sviluppo non è più esclusivo del mercato ma proviene dalle comunità, dalle reti intelligenti.
Qualcosa di analogo sta capitando anche alla formazione che non è più solo corsi, bensì un diverso tipo di lavoro dalle nuove valenze economiche e sociali. Si va nella direzione di un inedito paradigma lavorativo volto alla creazione di un bene relazionale unico e irripetibile, quel servizio formativo da cui trae vita la relazione formativa.
Se è vero, come è vero, che la formazione deve farsi strumento della politica attiva di un lavoro investito da profonde trasformazioni, è a maggior ragione vero che la formazione diventa la chiave per integrare politiche, programmi e risorse per far ripartire il nostro paese.
Di qui la nuova formazione che da costo diventa risorsa strategica per dare forma a una nuova economia delle risorse che, come la professionalità e la creatività (il capitale umano), non si esauriscono con l’uso; anzi è proprio l’uso della formazione che moltiplica le energie e libera nuove risorse verso il futuro.
Rispondere alle nuove sfide che la formazione ha davanti richiede un’innovazione che si esplica a diversi livelli: dalla rivalutazione della domanda, all’integrazione formazione-servizi, alla libertà di scelta, all’attivazione di un’offerta su misura, legata le altre iniziative per lo sviluppo (politiche formative, del lavoro, economiche, sociali), integrata con soggetti e risorse pubblici e privati, valutata secondo la prospettiva della persona e dell’impresa.
La consapevolezza resta quella di fare formazione per promuovere le risorse della persona, alla ricerca di un equilibrio soddisfacente tra lavoro come necessità e lavoro come creazione; anche perché adesso la competizione di imprese, territori e Stati si gioca sulle persone, sulla loro formazione, che da costo diventa l’elemento strategico su cui investire.

CRISTINA BALBONI
DIRETTORE GENERALE CULTURA FORMAZIONE LAVORO
ASSESSORATO FORMAZIONE PROFESSIONALE, UNIVERSITÀ E RICERCA, LAVORO REGIONE EMILIA ROMAGNA

  1. Come vede il futuro della formazione, e di quella continua in particolare, nel nostro Paese?

La formazione nel nostro Paese deve svolgere un ruolo chiave per intraprendere i processi di innovazione necessari al sistema economico-produttivo per tornare a crescere. In altre parole, l’investimento sulle competenze, in ogni fase della vita professionale delle persone, deve sempre più assumere il carattere della priorità, per le istituzioni che hanno un ruolo in questo senso e per le imprese che devono saperne cogliere il valore e l’opportunità.
La formazione continua, in questo ragionamento, è al primo posto. Ma quale formazione?
Globalizzazione e nuove tecnologie hanno cambiato radicalmente l’organizzazione del lavoro e il nostro stile di vita, e pertanto la domanda di beni e servizi che come società esprimiamo. Tali processi tuttavia non sono conclusi, sono in continuo divenire. Quelle che chiamiamo nuove professionalità sono anch’esse perennemente in evoluzione. Così come l’aggiornamento delle conoscenze di chi lavora necessita di una “manutenzione” incessante.
Credo che la volontà di investire in conoscenza debba essere accompagnata da una riflessione sulle competenze che progressivamente servono ad un sistema economico-produttivo per diventare, o mantenersi, aperto dinamico e competitivo e alle persone per incrementare il proprio profilo di occupabilità e adattabilità. Questa è la sfida più impegnativa rispetto al futuro. Per vincerla individuo almeno due elementi imprescindibili.
Il primo è la capacità come Istituzione di intraprendere scelte coerenti con il quadro europeo e fortemente connotate sulla dimensione territoriale . L’impegno della Regione Emilia Romagna è forte e condiviso. La programmazione, l’attuazione e la valutazione della programmazione regionale nascono dal confronto interistituzionale, si misurano sugli esiti del dialogo con le Parti sociali e si fondano sulla capacità di integrazione tra il sistema formativo e il mondo delle imprese.
Secondo elemento è la capacità di promuovere interventi unitari che individuino tra diverse fonti di finanziamento le necessarie complementarietà, per consentire l’accesso alle opportunità formative di tutti i lavoratori e degli imprenditori.
L’Accordo tra la Regione Emilia Romagna e For.Te. del febbraio 2011, va in questa direzione. Esso prevede di sostenere, ciascuno nel proprio ruolo, Piani formativi per la fruizione contestuale alle opportunità da parte di lavoratori, dipendenti e autonomi, e di imprenditori. Per la prima volta, una Regione e un Fondo interprofessionale si sono impegnati a programmare e rendere disponibili i finanziamenti e avviare le attività formative per un settore produttivo, il terziario, molto importante per l’Emilia Romagna. Presupposto di tale Accordo è la consapevolezza che nel settore terziario la qualità delle competenze, la qualità del servizio e la capacità di competere risultano imprescindibili nella organizzazione dell’impresa nel suo complesso.

  1. Quali sono secondo lei gli ostacoli più gravi che ne impediscono il salto di qualità e quali interventi si rendono necessari per superarli?

Partirei dai punti di forza di un sistema, in particolare quello emiliano-romagnolo. A livello generale l’Emilia Romagna, nelle programmazioni che si sono succedute, è riuscita a mantenere alti livelli di efficienza, focalizzando l’attenzione sugli aspetti quali-quantitativi e sulla definizione, e il rispetto, di regole certe e condivise.
Parallelamente il sistema formativo è cresciuto investendo su una progettualità che ha permesso di mantenere alti anche i livelli di selezione dell’offerta.
Sulla base di queste esperienze, e guardando alle difficoltà che il contesto attuale ci pone, abbiamo proceduto, nel corso dell’ultimo anno, a una riforma delle politiche regionali per l’istruzione, la formazione e il lavoro volta, a mio parere, a superare gli ostacoli che impediscono di fare il salto di qualità.
Con la riforma abbiamo delineato un disegno che, dall’Educazione alla Ricerca, integra risorse, soggetti e percorsi. Lo abbiamo chiamato ER Emilia Romagna, per identificare la Regione con un preciso impegno politico: investire in educazione e in ricerca, per garantire al territorio e ai suoi abitanti la competitività per crescere e la coesione sociale, che da sempre ha contraddistinto lo sviluppo della nostra regione.
Sono quattro, in estrema sintesi, i segmenti in cui ER si articola:

  1. l’Istruzione e Formazione Professionale (IeFP), il nuovo sistema – regolato dalla Legge regionale n.5/2011 – per il conseguimento delle qualifiche triennali
  2. la Rete Politecnica, costituita dall’offerta formativa volta a qualificare le competenze tecniche e scientifiche delle persone. In essa confluiscono la Formazione Superiore, l’Istruzione e Formazione Tecnica Superiore e i 9 ITS attivati in regione che, strettamente interconnessi, hanno inaugurato in questi giorni i percorsi biennali
  3. l’Alta formazione, la ricerca e la mobilità internazionale, cui afferiscono le opportunità e gli interventi più sperimentali e innovativi: assegni per l’alta formazione, dottorati di ricerca, incentivi economici e altre agevolazioni, per favorire la nascita di imprese ad alto contenuto di conoscenza e il trasferimento tecnologico
  4. Lavoro e Competenze. Questo segmento completa il disegno regionale con le politiche attive: formazione per apprendisti; percorsi per l’aggiornamento delle competenze dei lavoratori e l’ innovazione organizzativa e produttiva delle imprese; percorsi di inserimento lavorativo

Caratteristica distintiva del sistema è di agire a tutto campo, in una visione di continua permeabilità dei diversi percorsi, tra questi e il mondo del lavoro, e di integrazione tra i soggetti formativi, tra essi e le imprese.
Si tratta di focalizzare gli obiettivi da conseguire con una pluralità di interventi, fondati su logiche comuni e su un’attività valutativa tesa a migliorarne e correggerne l’impostazione strategica.
L’obiettivo è duplice. Da una parte, promuovere l’integrazione tra le autonomie educative, formative ed universitarie e il mondo delle imprese sull’intera filiera formativa per accrescere e innovare le competenze professionali, tecniche e scientifiche delle persone e delle imprese. Dall’altra, ricercare un nuovo equilibrio tra domanda e offerta di lavoro innalzandone i requisiti e le potenzialità.
Alla base vi è un’idea di formazione, intesa come apprendimento continuo di conoscenze e competenze nei luoghi formali e nelle organizzazioni di lavoro, che accompagna le persone nelle transizioni, interpreta le scelte compiute senza precluderne altre successive, dà prospettive di miglioramento ai singoli e alle organizzazioni, attraverso una rete di servizi e in una relazione, forte e strutturata, con le imprese.

  1. Qual è lo stato di avanzamento dell’Accordo tra la Regione Emilia Romagna e il Fondo For.Te.?

L’obiettivo dell’Accordo è dare concreta attuazione a tutti gli impegni che, a livello nazionale e regionale, sono stati assunti dalle Amministrazioni e dalle Parti sociali per conseguire i necessari obiettivi di integrazione, complementarietà e sinergia tra le programmazioni finanziate con risorse diverse.
Abbiamo intrapreso il lavoro di individuare modalità attuative dell’Accordo che, a partire dal riconoscimento delle autonomie dei diversi soggetti, permettano di programmare, attuare e rendicontare azioni specifiche, senza sovrastrutture burocratiche o costi aggiuntivi di gestione e controllo.
Tale lavoro congiunto ci permette oggi di inserire nel Piano di intervento per la crescita per il 2012, in corso di concertazione con le forze sociali, un’Azione che, con risorse regionali e un bando di chiamata aperto, finanzi la formazione di imprenditori che, con i Fondi Interprofessionali, aggiornano e migliorano le competenze tecnico professionali dei propri dipendenti. La logica è quella di permettere nelle organizzazioni di lavoro, ed in particolare nelle micro imprese, un allineamento delle competenze di tutti i lavoratori.
L’aver avuto approvato Piani formativi a valere sui Fondi Interprofessionali che hanno sottoscritto Accordi di collaborazione con la Regione è condizione di accesso a tali risorse. Anche in questo modo intendiamo sollecitare i Fondi a siglare nuovi e ulteriori accordi di collaborazione operativi.