Quando la formazione funziona di Eleonora Pisicchio, Direttore di For.Te.

Marco fa il netturbino a Verona. Nei mesi scorsi ha partecipato ad un corso di formazione per potersi esprimere in inglese. Opera nel centro storico di una delle città più visitate d’Italia e la società di servizi ambientali per cui lavora desidera che non solo garantisca la pulizia delle piazze e dei vicoli, ma che partecipi allo sviluppo del sistema territoriale di accoglienza. Carla fa la domestica ai piani di un albergo storico veneziano, parla diverse lingue, e , grazie alla formazione, è in grado di dialogare con una clientela esigente. Giovanni progetta gli spazi espositivi di un grande magazzino. Paola ha imparato tecniche di marketing per l’azienda di moda di cui è impiegata. Giorgio ha appreso come organizzare in condizioni di sicurezza le attività dei lavoratori dell’impresa di logistica di cui è caporeparto, mentre i suoi collaboratori hanno imparato ad usare le nuove macchine. Recentemente, un’amica formatrice mi ha parlato di un’esperienza di bilancio delle competenze condotta in un Piano finanziato da For.Te., e di una lavoratrice che ha commentato il proprio cambiamento attraverso le parole del figlio, “… finalmente sorridi e sei allegra quando vai al lavoro”.
Sono solo alcune delle storie raccolte dal nostro Fondo, che documentano e ci fanno vedere come sia positiva la formazione per la sfera professionale, ma anche per la vita personale.
L’apprendimento é un’avventura che può non finire mai e non deve per forza essere noiosa; negli anni, stando a contatto con le strutture che erogano formazione alle aziende, abbiamo conosciuto tante sperimentazioni che ricercano metodologie e strumenti innovativi.
Quando sono nati, i Fondi si inserivano in un contesto complesso; non si dice nulla di nuovo affermando che il sistema della formazione continua italiano era agli ultimi posti in Europa per imprese e lavoratori coinvolti e per quantità e qualità degli interventi. Le Parti sociali hanno raccolto la scommessa di costituire un modello di riferimento vicino all’Europa, non appesantito dalla burocrazia e coerente con la domanda di formazione degli adulti.
Una scommessa che si gioca sul cambiamento ed in cui sono al centro la scelta dell’impresa e la crescita del lavoratore.
Ai Fondi interprofessionali è stato chiesto di superare gli ostacoli ed i limiti che rendevano poco utile il vecchio sistema. Niente erogazione automatica delle risorse, ma una selezione dei piani formativi che ne consideri la qualità e l’impatto. Niente mercato garantito, ma possibilità per le imprese di scegliere e cambiare il Fondo a cui rivolgersi. Niente prodotti standard, ma un’ offerta formativa articolata che risponda sia alla grande impresa che alle aziende di minori dimensioni. Niente formazione rigida, ma interventi per territorio, settore, azienda, singolo lavoratore. Non si può dimenticare l’esperienza della legge 236/93, negativa in alcuni territori, quando si decide di “dare un voto” all’attività dei Fondi.
Questa sfida negli ultimi anni si è fatta dura, per via della crisi che ha costretto molte imprese a chiudere, ma ha anche spinto i Fondi a sostenere ancora di più le aziende nello sforzo di reagire, facendo leva sulla formazione.
Formazione per migliorare le competenze: è l’antidoto alla crisi della nostra economia. Lo hanno capito le imprese, che sempre più numerose aderiscono ai Fondi, e lo sanno bene i lavoratori, che vogliono andare oltre i confini delle loro competenze. Talento e merito, parole forse un po’ abusate, sono la ricchezza spesso nascosta che le imprese italiane devono far emergere.
Eppure le difficoltà restano: buona parte dei piani finanziati riguardano imprese del Nord Italia, mentre le imprese del Mezzogiorno sembrano non cogliere sino in fondo l’esigenza di qualificazione degli addetti e le opportunità di crescita offerte dai Fondi.
I numeri di questi anni ci dicono anche altro. I Fondi sono tanti, ma quattro raccolgono più del settantacinque per cento delle imprese e dei lavoratori. Il sistema ha gestito tra il 2004 ed il 2010 risorse per quasi 2 miliardi e mezzo di euro finanziando piani decisivi per le strategie di rinnovamento e competitività. L’impegno, in questi anni di crisi, è stato massiccio. I Fondi dal 2009 ad oggi hanno stanziato quasi un miliardo di euro, di cui almeno un terzo destinato alle aziende a rischio: uno dei più importanti investimenti di politiche attive del lavoro. Sono dati concreti e verificabili, che smentiscono i luoghi comuni sulla formazione che circolano nel nostro Paese.
Tutto questo però non basta. Molte aziende, soprattutto quelle di minore dimensione, non aderiscono e tanti lavoratori non beneficiano delle nostre iniziative. Siamo ancora indietro rispetto alla funzione che i Fondi interprofessionali hanno in altri Paesi europei: Olanda, Francia, Danimarca e Germania. Dispiace però, e non fa bene a nessuno, l’ approccio ostile, a volte distruttivo, che ritroviamo anche in quotidiani importanti.
La storia che stiamo vivendo dovrebbe spingere tutti ad agire per il miglioramento, ad evidenziare il positivo di ogni esperienza. Se non altro per i giovani, a cui abbiamo il dovere di affidare un Paese più sano e combattivo.
Nel nostro caso, la strada tracciata dalle storie di Marco, Giovanni, Carla, Giorgio e Paola mostra, anche a chi non la vuol vedere, come esista in Italia una formazione che funziona e che va apprezzata per il cammino fatto ed i traguardi raggiunti.