Intervista al dr Pierpaolo Masciocchi responsabile del settore ambiente ed utilities di Confcommercio-Imprese per l’Italia

Qual’è a suo giudizio il potenziale impatto della green economy nelle imprese italiane, in particolare nel terziario?
Nella definizione della Strategia Europa 2020, la Commissione europea dà una precisa indicazione sul significato della priorità “Crescita sostenibile”: “crescita sostenibile significa costruire un’economia efficiente sotto il profilo delle risorse, sostenibile e competitiva.
All’interno di questa cornice, le modalità di gestione d’impresa risultano avvicinarsi sempre più alla cultura ambientalista: l’ambiente, da vincolo alla crescita produttiva, viene riconosciuto come motore di innovazione e di sviluppo, in grado di innalzare la capacità competitiva e, per esteso, la qualità della vita dei territori. Ne deriva una accezione originale di sostenibilità e, più nello specifico, di green economy, non solo imperniata sulle soluzioni tecnologiche dei green business ma in grado di esaltare le potenzialità di un sistema economico evoluto, in cui l’offerta “sostenibile” si accompagna a nuovi modelli di consumo consapevole e a policy di lungo periodo. Si tratta di un approccio “pervasivo”, che sta permeando molti settori dell’economia (a partire proprio dalle produzioni e dalle filiere del Made in Italy più legate all’identità del territorio) e che sempre più interesserà l’intera catena del valore economico (ricerca, investimenti, comunicazione, risorse umane e finanza).
In particolar modo per quanto attiene ai settori dei servizi, della distribuzione commerciale e del turismo si avvertono, in questi ultimi anni, i segni di un profondo cambiamento innescato dalle politiche portate avanti a livello europeo. Il consumatore “di servizi” è un consumatore sempre più attento alla qualità ed il suo comportamento sta cambiando radicalmente le politiche delle imprese della distribuzione commerciale e della ricettività turistica.
Recenti studi hanno dimostrato come sia sempre più forte l’orientamento dei consumatori verso i prodotti “bio” o ai servizi certificati ambientalmente tanto che si stanno sviluppando specifiche certificazioni rivolte espressamente alle piccole e medie imprese del terziario come l’EMAS EASY.
Nel rinnovato contesto normativo europeo e nazionale, le performances ambientali si configurano sempre più come fattori di competitività per le aziende nel mercato internazionale; fattori che vanno ad incidere su prezzo, design e qualità.
Il rispetto dell’ambiente che ha rappresentato, in passato e per lungo tempo, un vincolo, se non addirittura un ostacolo, alla crescita economica, oggi può diventare un’occasione di sviluppo e settore strategico per la nascita e crescita di nuove imprese e quindi di occupazione e sviluppo territoriale.

Quali sono i possibili riflessi occupazionali della green economy?
La “green economy” è un modello di sviluppo che si concentra sulla creazione di posti di lavoro, la promozione della crescita economica sostenibile, la prevenzione dell’inquinamento ambientale e del riscaldamento globale mediante un uso efficiente delle risorse naturali e non a disposizione. Parte integrante della “green economy” sono quegli elementi dei settori economici tradizionali che puntano a diminuire i propri usi energetici da fonti d’energia tradizionale, al fine di ridurre le emissioni di gas a effetto serra nella biosfera.
La green economy necessita quindi di nuove professionalità; del resto, che l’economia verde stia diventando sempre più il punto di approdo delle aziende italiane ed anche locali è un fatto ormai acquisito. Si stima, infatti, che in Italia i nuovi posti di lavoro nelle cosiddette rinnovabili, sono stati nel corso del 2011 più di 220mila, per quintuplicarsi a livello europeo. Il trend è, dunque, nettamente in crescita nonostante in Italia la green economy risenta ancora in senso negativo della normativa e della sua instabilità essendo fortemente legata ai sistemi incentivanti. Per uno sviluppo organico sarebbe necessario che anche nel nostro Paese la green economy diventasse una scelta politica e strategica condivisa per consentire di integrare il sistema economico, sociale, formativo, energetico e politico in un’ottica di crescita e di sviluppo.

In questi anni dal punto di vista dei fabbisogni professionali, le imprese stanno richiedendo profili che rispondono alle esigenze della green economy ? il sistema formativo si sta attrezzando per poter promuovere queste competenze?
Si. Le scelte che molte aziende del territorio stanno affrontando nel campo energetico e ambientale stanno innescando nuovi fabbisogni occupazionali, supportati anche dai fondi europei mirati proprio alla promozione delle tecnologie ed ai lavori verdi.
Lo sviluppo delle tecnologie offre infatti molteplici strumenti che permettono di iniziare a dare una risposta a queste sfide, favorendo il ripensamento dei modi di lavorare e agire, creando opportunità attraverso nuove reti di conoscenza (design-thinking e co-thinking), lavorando insieme con i propri clienti o consulenti (co-working), cercando i valori nella diversità.
In uno scenario nazionale decisamente preoccupante per l’occupazione giovanile, i “green jobs” sono, dunque, uno spiraglio di luce. I settori legati alla sostenibilità in senso stretto, ma anche una riconversione ecologica della nostra economia nazionale – svolta quanto mai necessaria e imprescindibile – sembrano infatti leve importanti non soltanto per uscire dalla crisi e far ripartire la crescita economica, ma anche per generare occupazione.
Andando più a fondo, si apprende però che il 15% circa del fabbisogno di green jobs rischia di rimanere insoddisfatto a causa di un’inadeguata preparazione dei candidati.
Fortunatamente però, secondo recenti dati di Unioncamere, l’offerta formativa si sta adeguando, se si pensa che nell’anno accademico 2011/2012 sono stati attivati 193 corsi di laurea in 54 atenei sui temi della sostenibilità ambientale. L’auspicio è quello di contribuire alla costruzione di una nuova politica ambientale rispettosa della salvaguardia del patrimonio esistente ma compatibile, al tempo stesso, con le esigenze della produzione, del commercio, del consumo, dell’innovazione e della ricerca.
Obiettivo finale dovrà essere quello di innescare una rivoluzione culturale nella coscienza ambientale di imprese, cittadini e istituzioni, orientata a valorizzare e premiare il merito e le eccellenze ma, al tempo stesso, a scoraggiare i comportamenti illeciti. Solo così i soggetti ambientalmente meno virtuosi potranno essere riallineati su un percorso di sostenibilità e responsabiltà sociale: uniche leve di sviluppo e competitività non solo a livello nazionale ma anche a livello europeo.

In che modo i fondi interprofessionali possono sostenere la domanda di competenze necessarie alle imprese che intendono dare valore alla “economia verde” ed investire in questo settore?
La formazione ricopre sempre un ruolo importante nel mondo del lavoro, soprattutto per quei settori ancora in fase di sviluppo, quali la green economy, poiché consente di innalzare le competenze dei lavoratori e, quindi, il loro contributo allo sviluppo dell’impresa, riducendo il rischio che il fabbisogno di green jobs da parte delle imprese rimanga insoddisfatto a causa di un’inadeguata preparazione della forza lavoro.
Proprio in questo settore è possibile sviluppare un circuito virtuoso fra formazione, ripresa economica, qualità del lavoro, tutele. Nell’attuale situazione economica, la green economy rappresenta infatti oggi un importante strumento non solo per tutelare l’ambiente, e quindi le generazioni future, ma un’opportunità che consente di contribuire al rilancio del sistema produttivo ed occupazionale puntando sulla definizione di professionalità emergenti e sulla riconversione in chiave ecosostenibile di figure tradizionali.
In questo senso le nuove figure professionali ricercate sono molteplici: dall’esperto di gestione di rifiuti, al mobility manager sino al bioarchietto o all’energy manager.
È evidente che i Fondi interprofessionali dovranno essere sempre più soggetti attivi in grado di elevare la qualità e gli standard della formazione progettata ed erogata. In particolar modo per l’energy manager, ad esempio, le imprese dovrebbero essere aiutate a comprendere l’importanza di avere al proprio interno una risorsa in grado di raccogliere i dati inerenti i consumi di energia ed analizzarli al fine di individuare misure di efficienza e risparmio energetico che ripagano in pochissimo tempo l’investimento formativo grazie alla riduzione dei costi energetici.
C’è da considerare poi che l’energy manager è una figura obbligatoria per i soggetti privati che consumano, nel caso del terziario, più di 1.000 tep (tonnellate equivalenti petrolio) di energia.
La green economy e la formazione continua nel settore rappresentano quindi una grande opportunità per le imprese e per la loro capacità competitiva. È necessario, però, che facciano parte di una strategia integrata di sviluppo locale e nazionale, in cui chi lavora in sicurezza, nel rispetto dell’ambiente e forma costantemente, grazie all’utilizzo di strumenti come i Fondi interprofessionali, i propri collaboratori su tali temi possa ricevere anche degli incentivi.