Il lavoro femminile in uno studio della Fondazione DeBenedetti

La disparità tra uomini e donne che lavorano è al centro di un recente studio della Fondazione Rodolfo DeBenedetti, destinato a far discutere. La ricerca valuta la condizione della donna lavoratrice, esaminando un campione significativo. Da esso appare evidente che la persistenza in Italia di un differenziale di genere, professionale e retributivo, è dura da affrontare e da risolvere, mentre la crisi contribuisce ad esasperarlo.
Sono stati messi a confronto 30mila laureati milanesi, in un contesto tra i meno sfavorevoli all’inserimento delle donne nel mercato del lavoro. I risultati sono interessanti: nelle aree economiche più sviluppate, grazie anche al ruolo del terziario, resta il differenziale tra uomini e donne occupati, ma è di gran lunga inferiore alla media italiana che è del 20 per cento. Nel campione, il vantaggio degli uomini rispetto alle donne è del 7 per cento. Almeno a Milano, sembrano molto attenuate le dinamiche di collocazione nel lavoro di uomini e donne che obbediscono a schemi culturali rigidi o ruoli sociali predefiniti. E’ vero invece che le donne, nei loro percorsi di studio, si orientano verso professioni meno “redditizie” e questo spiega distacchi salariali spesso rilevanti.
Secondo la Fondazione DeBenedetti esiste una sorta di “discriminante di ritorno”, per cui le donne sono più propense a trovare soddisfazione nel lavoro secondo parametri non legati in prevalenza al reddito. Su queste scelte pesano la debolezza delle strutture di welfare famigliare e una sorta di “ minore autostima” che intercetta anche gli strati sociali più alti.
Vale la pena considerare che, a parità di ruolo e di orario, le donne italiane guadagnano circa il 16 per cento in meno dei colleghi maschi. Si tratta quindi di intervenire con correttivi di legge e di natura contrattuale, e di combattere con più forza stereotipi di genere ancora diffusi nel nostro Paese. Da essi deriva anche il fatto che, nel 60 per cento delle coppie italiane, la quota di reddito apportata dal lavoro femminile sia inferiore al 40 per cento (dati Eurostat).