Quasi un giovane italiano su cinque, di età tra 18 e 24 anni, abbandona precocemente il percorso di istruzione e formazione. Con un valore del 18,2% nel 2011, il nostro Paese presenta un tasso di dispersione superiore di quasi 5 punti alla media comunitaria, che è del 13,3%. Per le femmine il tasso di dispersione è di poco superiore al 15%, mentre per i maschi raggiunge il 21%. Il benchmark comunitario al 2020 è del 10%, quello nazionale del 15%.
Nel 2011, i giovani con un diploma di secondo grado erano il 76,9% della popolazione tra 20 e 24 anni, a fronte di un valore europeo del 79,3%. Il nostro Paese segna un andamento crescente, con un incremento del 7,5% dal 2000. Resta lontano dalla media europea, 73,2%, il dato sull’intera popolazione adulta, pari al 56,0% nel 2011.
Ci sono poi i Neet. Nel 2009, i Neet (Not in employment, education or training), giovani senza studio e senza lavoro, erano in Italia più del 20% nella fascia tra i 15 ed i 29 anni; dato superiore di sei punti alla media europea e aggravatosi nel biennio seguente. Solo la Bulgaria fa peggio.
La crisi ha reso più acuto un fenomeno già presente, che ha origini e motivi antichi. I Neet ci dicono molto della qualità dell’investimento fatto dai paesi europei per rafforzare le capacità delle nuove generazioni: apprendimento delle competenze, servizi di orientamento e per il lavoro, politiche attive e strumenti per preparare i giovani al mercato del lavoro e aiutare le imprese ad assumere.
Un rapporto, curato da ItaliaLavoro nel 2011 ma di recente circolazione (Neet: i giovani che non studiano, non frequentano corsi di formazione e non lavorano), traccia un quadro preoccupante e mostra come il problema sia la riprova di almeno un decennio di occasioni mancate.
Sono 2 milioni i giovani tra 15 e 29 anni esclusi dal circuito educativo, formativo o lavorativo: un giovane su cinque. Forte la differenza tra le regioni italiane. Neet è un giovane su tre nel Lazio, la Campania, la Sicilia dove il mercato del lavoro funziona poco, uno su dieci in Trentino-Alto Adige e uno su otto in Emilia e Veneto che hanno un mercato del lavoro meglio governato.
Chiara è la prevalenza delle donne (57%), delle persone inattive (il 66% non ha mai lavorato, il 34% ha perso il lavoro) e dei residenti nel Mezzogiorno (58%). La percentuale di Neet è cresciuta negli ultimi anni anche nel Centro-Nord, per la crisi economica che ha riguardato i territori con maggiore occupazione e ha colpito soprattutto i giovani maschi.
Il rapporto offre interessanti considerazioni. I Neet rappresentano la quota della popolazione giovanile a maggiore rischio di esclusione sociale, su cui dovrebbero intervenire servizi di prevenzione e di promozione sociale.
I Neet italiani possono essere classificati in quattro gruppi:
- con bassi livelli di occupabilità, che non cercano attivamente un’occupazione;
- con livelli di occupabilità da migliorare, che non cercano attivamente un’occupazione;
- con livelli di occupabilità da migliorare, che cercano attivamente un’occupazione”;
- non disponibili a lavorare.
Per una parte consistente – quasi un terzo – l’allontanamento dal mercato del lavoro è una scelta consapevole. 604 mila Neet (il 30% del totale), in maggioranza donne (438 mila, pari al 73%), dichiarano di non cercare un impiego: per motivi familiari, perché impegnati in attività formative informali, perché inabili o con problemi di salute, perché senza interesse o bisogno di lavoro. Più del 70% delle donne Neet del Sud dichiara infatti che, anche in presenza di servizi adeguati, preferirebbe rimanere a casa.
Circa la metà dei giovani Neet non si è mai rivolta a un centro pubblico per l’impiego, la restante metà vi si è rivolta in prevalenza, e solo il 3,4% è ricorso a un’agenzia per il lavoro. Chi comunque ha cercato lavoro tramite i servizi pubblici non l’ha trovato, e il dato fa capire quanto questi siano carenti.
E’ interessante valutare la funzione dell’apprendistato: nelle nazioni europee, e nelle regioni italiane, più è alta la percentuale di occupati con contratto di apprendistato, più bassa è la percentuale di Neet.
Per i Neet la differenza di genere è minima tra i 15 e i 24 anni, mentre è fra le maggiori d’Europa fra i 25 e i 29 anni. Questo è vero nel Sud, dove prevale un modello familiare monoreddito, ma vale in generale: a 5 anni dalla fine degli studi, il Neet rate ( livello percentuale dei Neet) delle donne inattive si riduce di soli 4 punti, quello degli uomini di 25.
Abbandono prematuro degli studi e tasso di Neet sono variabili che riguardano anche i giovani immigrati di seconda generazione. I Neet di cittadinanza straniera sono quasi 300mila, per il 75% sono donne, due terzi risiedono nel Nord. Come in tutti i paesi europei, il tasso di Neet stranieri (30,9%) è molto più alto che per gli italiani (20,3%), escluse colf e badanti. Una quota importante di Neet stranieri è costituita da giovanissimi con bassi livelli di studio. Più di metà degli studenti stranieri non raggiunge il livello minimo di alfabetizzazione.
La condizione di Neet è legata alla modesta mobilità sociale. Scarsa è la possibilità di studiare fino alla laurea per i giovani di famiglie con bassi livelli d’istruzione: ci riesce solo il 7,5% di figli di genitori con al massimo la licenza media. Se i genitori sono laureati, più della metà dei figli (58,6%) acquisisce lo stesso titolo di studio.
Sul fenomeno influisce anche la poca autonomia giovanile. Nel nostro paese il 91,8% di maschi tra 15 e 24 anni e l’82,8% di femmine vivono ancora in famiglia con i genitori: in Danimarca il 40% dei coetanei uomini e il 27% delle donne. Sono i paesi europei dove i giovani restano più a lungo a casa con i genitori a registrare un’alta presenza di Neet.
Il fenomeno dei Neet è conseguenza non solo della crisi economica e della minore domanda delle imprese, ma anche dell’assenza o della presenza inadeguata, in molte regioni italiane, di servizi e strumenti di promozione delle capacità individuali : servizi sociali ed assistenziali, servizi per la formazione ed il lavoro, strumenti per l’integrazione. L’esclusione dalla scuola, dalla formazione e dal lavoro è lo specchio di un ambiente che alimenta passività e disagi, di contesti culturali e sociali che favoriscono condizioni di marginalità e povertà.
Secondo il rapporto è lo scoraggiamento la causa che può spiegare la maggiore quota di Neet italiani, tenuto conto che l’inattività nasconde in parte lavoro sommerso, soprattutto nel Mezzogiorno. Le ragioni vanno trovate nelle scarse prospettive occupazionali dei giovani con bassi livelli d’istruzione e modeste competenze professionali, nello skill mismatch, nel dualismo territoriale, nella distanza fra domanda e offerta di lavoro, nell’inefficacia della formazione. Che alti tassi di Neet inattivi nascondano lavoro nero pare confermato, nelle regioni, dalla correlazione fra questi e la quota di unità di lavoro non regolari.
Il divario con l’Europa è determinato inoltre dalla minore occupabilità dei laureati. In particolare delle donne, che hanno meno probabilità di trovare un lavoro coerente con il titolo di studio, anche se questo è in media superiore a quello degli uomini.