Il titolo di studio non è in Italia un rifugio sicuro. Il vantaggio nel lavoro e nel reddito delle persone con un più elevato titolo di studio si assottiglia, e il fenomeno è grave visto che il nostro è uno dei paesi europei con minor numero di laureati.
In particolare, in questi anni, si è rallentata la mobilità del lavoro e la stabilizzazione dai contratti precari, con una minore capacità della laurea di ridurre il rischio disoccupazione. Come rileva il Rapporto Isfol 2012, il collegamento tra il titolo di studio e la presenza di competenze “ chiave” ( linguistiche ed informatiche) è ancora un aspetto premiante, che viene incontro alle esigenze delle imprese: la stabilizzazione dei giovani precari dipende dal possesso, oltre che del titolo di studio, anche di queste competenze chiave. Tuttavia, in Italia, a un numero relativamente basso di lavoratori laureati, o con titolo di studio medio alto, fa riscontro anche un minore vantaggio in termini di retribuzione.
Questi fattori, aggravati dalla crisi, scoraggiano l’investimento in capitale umano, originando un circolo vizioso : una riduzione del premio salariale per i più scolarizzati ( soprattutto se giovani) si accompagna ad una minore domanda di lavoro qualificato, che misura una minore capacità di innovazione e, a sua volta, determina minore sviluppo. La penalizzazione riguarda inoltre i giovani e non coinvolge affatto i lavoratori con più di 55 anni di età. La correlazione del reddito con l’età mostra un paese immobile, rigido, disattento all’innovazione ed al merito.
D’altra parte, un sistema produttivo che non crea domanda di lavoro qualificato e opera attraverso la mera diminuzione dei costi, e non migliorando la qualità, porta con sé minore produttività. Dal 1998 ad oggi, la produttività è diminuita in Italia, mentre l’aumento medio nell’Unione europea è stato superiore al 13 per cento.
Il sottoinquadramento, dovuto alla mancata corrispondenza tra competenze, titolo di studio e lavoro, riguarda ormai il 40 per cento dei laureati italiani. Più del 60 per cento dei giovani italiani risulta oggi sottoinquadrati (overeducation) a fronte di lavoratori anziani che, grazie al minor numero di laureati anziani e alle progressioni di carriera, sono in parte “soprainquadrati” (undereducation). Il sottoinquadramento è minore in alcuni settori che collegano la domanda di competenze ad investimenti in innovazione: la green economy, le competenze legate allo sviluppo sostenibile sono, per esempio, ambiti di crescita delle opportunità di lavoro che si legano alla contestuale crescita delle competenze richieste.
Trovare la via d’uscita a questa situazione non è semplice. Tornare a premiare il capitale umano sembra l’unica possibilità. Alcuni obiettivi sono praticabili : orientare i giovani verso percorsi di studio con minore rischio di sottoinquadramento; rafforzare i servizi per il lavoro: incentivare e sostenere le scelte di innovazione delle imprese, soprattutto quelle di minore dimensione; qualificare, rafforzare ed estendere la funzione della formazione continua tra i datori di lavoro e tra i lavoratori.