La crisi del commercio, analisi e proposte

Tutti gli osservatori economici segnalano come il commercio, settore cruciale a cui si riconduce più di un quarto del totale delle imprese (con una percentuale di ditte individuali superiore al 64 per cento), sia da sempre un settore particolarmente esposto che richiede forte capacità di governo dei mutamenti.
La crisi colpisce soprattutto le imprese commerciali meno innovative, che non hanno puntato sul miglioramento dei processi organizzativi e del capitale umano. La crisi più evidente è quella dei negozi al dettaglio dei centri storici, mentre il settore nell’insieme resta vivace, e la maggior parte delle nuove attività è ancora avviata in ambito commerciale. Secondo le analisi più accreditate, per consentire al commercio di rimanere centrale nell’economia e nell’occupazione italiane servono interventi macroeconomici e fiscali, ma anche cambiamenti da parte degli operatori e una certa discontinuità nella cultura di impresa.
In particolare, va considerato come molti negozi ed attività commerciali chiudano per difficoltà nel passaggio da padri a figli. Questo avviene anche per attività redditizie e provoca una perdita secca di opportunità, reddito, occupazione, e uno scarso rinnovamento della cultura di impresa. Sono infatti le imprese commerciali passate a titolari giovani quelle più attente al marketing, al capitale umano ed alla tecnologia informatica (tra cui l’ e-commerce). Stentano ancora ad emergere nel terziario e nel commercio le reti, che possono contribuire a rafforzare il marketing, le strategie di vendita e fare da antidoto al mancato passaggio generazionale. Gli interventi di rafforzamento della dimensione territoriale e consortile delle imprese commerciali vanno quindi promossi e sostenuti.
Il distretto commerciale può contribuire a rendere più strutturato il rapporto tra reti di impresa e territorio. La specializzazione territoriale del commercio è in Italia un’eredità antica: basti pensare a quante città italiane hanno interi quartieri o vie a specializzazione commerciale, con strade che conservano i nomi delle antiche botteghe medioevali. All’estero i distretti commerciali sono diffusi, perché semplificano tempi e modi di acquisto per il cliente e sono un’alternativa conveniente agli ipermercati e ai grandi centri commerciali. E’ una sfida di grande interesse, che si gioca in termini di marketing territoriale e richiede forte sinergia con le istituzioni locali, oltre che una gestione nuova degli orari di apertura e dei tempi di lavoro.
Ai negozianti si chiede di dare valore a una delle posizioni di vantaggio più evidenti delle microimprese e dei negozi al dettaglio: il rapporto diretto con il cliente. Il negoziante può leggere il mutamento dello stile di vita del cliente meglio di qualunque società di ricerca di mercato. Trarne le conseguenze, nell’organizzazione, nei prodotti, nei prezzi e nel marketing può essere importante.
Resta la debolezza strutturale della domanda interna italiana, che una politica economica guidata solo dal rigore non può affrontare in modo adeguato. Il carico fiscale su imprese e famiglie è elevato e la richiesta di una politica dei servizi che sostenga il commercio, da cui arriva il 43 per cento dell’occupazione italiana, appare sempre più pressante. In Europa cresce il lavoro nel commercio e nei servizi e anche in Italia la ripresa passa da questi settori.